BEA ZANIN, “A TORINO COME VA” (LIBELLULA DISCHI / AUDIOGLOBE)

Vicentina di nascita, torinese di adozione dai tempi dell’Università, dove ha studiato filosofia; violoncellista con la passione per l’indie rock, con varie collaborazioni all’attivo (Daniele Celona, Bianco, Luca Morino dei Mau Mau) e una parentesi dedicata alla musica degli anni ’50 e ’60 nel trio Bahamas, prima di dedicarsi al suo progetto solista che, preceduto da un EP che ha attirato un certo interesse, evolve ora nell’esordio sulla lunga distanza.

Bea Zanin impasta il suo violoncello con sonorità elettroniche a cavallo tra gli ’80 e i ’90 – il titolo del disco è un’ideale risposta a “A Berlino tutto bene” di Garbo – dividendo i dieci pezzi presenti in tre ‘sezioni’ (forse una reminiscenza dell’impostazione di certi concerti di musica classica): il primo dedicato al periodo universitario, il secondo più introspettivo all’insegna del contrasto tra un’indole ottimista e un carattere per certi versi spigoloso; l’amore in varie sfaccettature è protagonista del terzo.

Il risultato è un disco sinuoso, suadente come l’interpretazione della cantautrice; un disco dominato dal ‘calore sintetico’ delle tessiture elettroniche e da quello più corposo, ‘fisico’ del legno del violoncello.

Zanin apre con un omaggio alla città che l’ha accolta (Plaza Victoire), prosegue citando Pavese: “Se ti annoi è colpa tua”, per dipingere il ‘galleggiare’ talvolta annoiato degli anni universitari (che nasconde magari incertezze e prospettive), in tira in ballo Wittgenstein – con la collaborazione di due cantanti lirici — descrivendo problemi di comunicazione che si incontrano nelle relazioni con gli altri (Limiti).

Descrive il sapore agrodolce dell’estate si adombra dei primi refoli autunnali, l’allegria che si colora della nostalgia che verrà (Easy Summer); nostalgia come quella degli anni universitari, la vita allegramente ‘scoordinata’ degli studenti fuori sede; il rimpianto per il tempo apparentemente infinito e per questo impiegato male.

L’amore, infine: quello possibile ma bloccato da timidezza e insicurezze, quello vissuto per contro con troppa intensità fino a diventare ossessivo: in Pazzo di te, Bea duetta con Diego Perrone, anche produttore artistico del disco (già al lavoro con Caparezza); quello vissuto con leggerezza, libertà, ‘alla giornata’ come un viaggio improvvisato e infine quello spontaneo immediato, scaturito dall’incontro con persone viste per la prima volta che sembra di conoscere da sempre.

Bea Zanin assembla un disco convincente: una scrittura immediata, ma sicura, fondata sul ‘vissuto’, il matrimonio tra elettronica e violoncello all’insegna di un amalgama forse non sempre compiuto; un’autrice cui le passate esperienze permettono di evitare in gran parte le incertezze tipiche di ogni esordio. L’augurio di riascoltarla presto.

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