Category Archives: Attualità

Adesso vogliono privatizzare anche la Rai? Magari la diamo a Soros?

Fazio Gentiloni

Lo ha appena detto il conduttore Fabio Fazio, riferendosi alla Rai: «ci sono Paesi che hanno dismesso o venduto le reti. Non è detto che l’assetto attuale sia quello giusto. Si può discutere, ma per farlo bisogna essere in buona fede».

Fazio Gentiloni

Cos’è.. adesso buttiamo le basi anche per la privatizzazione della Rai? Magari la vendiamo a Soros? È per questo che si è fatto una birra con Gentiloni? E poi cosa vi venderete? Il Colosseo? Il brevetto della pizza? Quand’è che i respiri verranno tariffati da una società quotata in borsa a seconda della cubatura, cosicché gli sportivi e i bambini pagheranno uno sproposito e i fannulloni e gli anziani saranno finalmente considerati virtuosi?
Fazio accusa la politica di essere troppo ingerente, e per questo chiede alla politica di vendere la televisione di stato? Con lo stesso ragionamento, se la criminalità organizzata opprime un esercente, non si sgomina la banda, ma è l’esercente che piuttosto dovrebbe chiedere al capo bastone di rilevargli il bar?

D’accordo che la Rai è in mano a Monica Maggioni, che viene riportato sia alla guida della Commissione Trilaterale, tenendo riunioni a porte chiuse con persone che formano nell’ombra i futuri ministri (e questo a Fazio va benissimo?), ma se la televisione pubblica è preda della politica, si fa una nuova legge e la si mette a disposizione dei cittadini, non la si consegna nelle mani di nessun editore privato, magari quelli stessi che finanziano le ONG e le primavere colorate in giro per il mondo.

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Stefano Montanari: “Non vogliono il confronto perché li terrorizza”.

Stefano Montanari
Stefano Montanaririceviamo e pubblichiamo la lettera di Stefano Montanari al blog.

di Stefano Montanari
direttore scientifico di Nanodiagnostics

Caro Claudio,

Ho ascoltato con molto interesse il tuo intervento in cui chiami in causa il prof. Burioni. È evidente che tu Burioni non lo conosci o, in alternativa, hai tanta fiducia in te stesso da presumere che lui ti degnerà di una qualunque attenzione. Su di lui mi fermo qui, anche se il personaggio meriterebbe un libro intero.

Io non so che preparazione filosofica tu abbia e mi scuso preventivamente se ti farò perdere qualche secondo scrivendoti cose che conosci, ma sappi che la Medicina non è una scienza. Non lo è, come qualunque epistemologo ti potrà spiegare certo meglio di me, perché, per esserlo, le mancano dei fondamenti tra i quali la ripetibilità. In soldoni, se il teorema di Pitagora vale incondizionatamente per tutti i triangoli rettangoli, nulla in Medicina è universale e il margine d’incertezza è talmente enorme da rendere possibile quasi tutto e quasi tutto il suo contrario. Un malinteso diffusissimo, invece, vuole che i medici siano scienziati e di questo costume di scena quelli si valgono spesso e volentieri, tanto che tu stesso usi aggettivi doppi come medico-scientifico.

Non certo la sola, ma una delle voragini culturali dei medici è la loro totale incompetenza in campo chimico, voragine che non permette loro di capire un’infinità di reazioni che avvengono nell’organismo e, in particolare, quelle relative alle interazioni reciproche tra i farmaci e dell’organismo con i farmaci. Ecco, allora, che, approfittando dell’ignoranza unita alla spocchia, chi ha interesse a farlo può dar loro ad intendere ciò che fa più comodo. Se, poi, circola un fiume di quattrini, ecco che si corre lisci e sul sicuro, almeno statisticamente. Statisticamente perché di medici colti e onesti ancora ne esistono anche se la specie è più in pericolo di quella dei panda giganti.

A corollario esiste poi l’ignoranza in campo farmacologico. Ti parrà strano, ma i medici non conoscono i farmaci e io, da laureato in farmacia, cioè nel settore specifico, ti potrei offrire esempi addirittura grotteschi della loro ignoranza.

Tu dici correttamente che i trattamenti farmacologici non si possono imporre, e questo per mille motivi, da quelli logici a quelli morali fino a quelli legali. E aggiungi che la gente deve essere convinta. Ciò che accade, di fatto, è che gli strumenti di convinzione sono basati su martellamenti mediatici pieni di stravaganze e privi di qualunque dato reale, su insulti, su censure e su violenze. Credo sia impossibile trovare una confessione più aperta: in mancanza di verità si ricorre alla coercizione, una coercizione che va dal lavaggio del cervello alla violenza vera e propria come la proibizione di lavorare ai medici che vorrebbero esercitare “in scienza e coscienza”.

In questo panorama è fin troppo ovvio che il confronto sia guardato con terrore e bandito.

Forse tu non ne sei al corrente, ma io analizzo i vaccini da 15 anni e i risultati sono sconfortanti. Confronti ne ho chiesti invano chissà quante volte. Si è fatto e si continua a fare di tutto per bloccarmi, con interventi che vanno dal nostro ministro della salute (magari mi illumini sul diritto che ha di sedere in parlamento e sulla competenza specifica in materia di salute) al presidente dell’Unione Europea, dall’Ordine dei Medici ai mezzi di cosiddetta informazione.

Quello che c’è da dire sui vaccini dalla coppietta De Lorenzo-Poggiolini ai giorni nostri con illegalità sconcertanti e con veri e propri insulti ai principi fondamentali della Medicina, principi che non sono solo etici ma pesantemente “scientifici” per usare illegittimamente un aggettivo riempirebbe volumi interi. Appena per indicarti una follia, sappi che nessuna vaccinazione viene eseguita seguendo ciò che la buona pratica medica impone. Sappi, poi, che nessun vaccino viene sperimentato anche solo in termini minimi e che non esistono controlli efficaci né sui prodotti né sulle conseguenze che il loro uso comporta.

Mi fermo qui, ma potrei scrivere qualche migliaio di pagine, e non è escluso che un giorno lo faccia.

Cordialmente,
Stefano

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Caro Burioni ti scrivo, così mi rilasso un po’.

CARO BURIONI TI SCRIVO

Caro Burioni,

chi ti scrive non è pregiudizialmente ostile ai vaccini per partito preso. Anzi ti posso assicurare che, nel migliore interesse dei miei figli, cerco onestamente di capire, districandomi tra informazioni contrastanti e poco rassicuranti da un lato, e reazioni scandalizzate di gran sacerdoti del tempio che si stracciano le vesti urlando “sacrilegio” dall’altro.

Non tutti sono laureati in medicina e hanno specializzazioni nel merito, e …certo: di capre e di cavoli non possono capirne tutti, senza essere esperti “caprologi”. Tuttavia è un grave errore ritenere che solo chi ha seguito un certo corso di studi possa decidere su questioni così fondamentali e legate alla libertà personale, che incidono cioè direttamente sulla salute e sul nostro corpo, tanto più se parliamo del corpo dei nostri bambini. Innanzitutto ci sono questioni che attengono alla sfera generale della ragionevolezza e del buon senso e, esulando dal piano strettamente scientifico, possono essere valutate anche senza una specifica conoscenza tecnica. Ma poi, Burioni, pensa se una certa categoria di cittadini, che hanno in comune una qualunque conoscenza, avesse anche il monopolio della decisione. Vivremmo non già in uno “Stato di diritto” e neppure in uno “Stato di polizia”, ma addirittura in uno “Stato di medicina”. E poi gli ingegneri potrebbero rivendicare uno “Stato degli ingegneri”, e così gli psicologi, i filosofi e tutte le altre categorie di professionisti riconosciuti.

La verità è un’altra: senza scomodare la Costituzione, che dice che la sovranità appartiene al popolo, c’è una sovranità individuale che appartiene solo a se stessi, e tutte le categorie professionali di cui la società si dota per risolvere i suoi problemi fondamentali (salute, mobilità, alimentazione etc) sono — e non può essere altrimenti — al servizio dei cittadini e delle organizzazioni che li rappresentano, e non il contrario. Da questo discende che se i singoli individui — le persone — non sono convinti o non hanno capito (anche solo una parte di loro, non fa differenza), dotti medici e sapienti hanno l’obbligo di mettersi a disposizione, rimboccarsi le maniche, “comunicare” e convincere. Così come non basta infatti che gli ingegneri siano certi della bontà di un ponte, perché i cittadini si determinino a finanziarlo e percorrerlo (e ci mancherebbe il contrario), così un dottore deve essere disponibile a dialogare con il paziente, accoglierne le richieste, le perplessità e, per quanto possibile, confrontarsi. E no… non importa quanto la legge imponga obblighi e coercizioni, nati a misura di questo o di quel gruppo di interessi: su questioni come la salute dei bambini, ad esempio, vale una sola legge: la tranquillità dei genitori. Se un genitore non è tranquillo o non è convinto, niente e nessuno al mondo lo potrà mai obbligare a infilare un ago sotto la pelle del suo piccino, fonte di gioia e soprattutto di grande responsabilità.

Detto questo, vedi Burioni, oggi ciò che manca è proprio il confronto. Non è di leggi che abbiamo bisogno, non è di allarmismo e non è di disprezzo dispensato con paternalistica sufficienza, dall’alto di un ruolo, né di saccente presunzione di superiorità, ma di sano e sereno confronto. Un genitore che oggi voglia capire e — possibilmente — placare dubbi e paure, si trova a metà tra due schieramenti: chi è assolutamente convinto dell’utilità e della fondamentale innocuità dei vaccini, e chi non lo è. In mezzo: il nulla. Ci sono conferenze e convegni per divulgare l’una e l’altra tesi, ai quali partecipano solo esponenti dell’una o dell’altra fazione, ma nessun “Burioni” siede mai nello stesso studio o sullo stesso divano di un pediatra più cauto nella somministrazione dei vaccini. Così, agli sventurati genitori autenticamente desiderosi di capire, non resta che aderire fideisticamente a questo o quello slogan, a questo o quel mantra, a questo o quel personaggio.

Inter nos, un po’ di “comunicazione” la conosco anch’io, e da un mero punto di vista comunicativo comprendo la strategia della delegittimazione dell’avversario che si attua non sedendosi allo stesso tavolo con lui: solo che questa tecnica di contenimento funziona nelle prime fasi, quando ancora la nascita di un “focolaio” di dissenso è circoscritta e si spera così di non alimentarla. La discussione sui vaccini, invece, è ormai travalicata: non serve più chiamare Grasso e dirgli di togliere l’utilizzo delle sale del Senato a chi vuole fare tavoli di confronto sul tema, non serve più invitare in televisione qualche povero genitore impreparato e fargli fare la figura dello sprovveduto, e non serve più continuare a radiare un medico dopo l’altro, per dimostrare che sono tutti dei truffatori, perché tutto questo al contrario dà l’impressione della medicina come di una setta chiusa, di una religione che emette fatwe e condanne, di una società medioevale che organizza pubbliche gogne, roghi e indici di argomenti proibiti, anziché di un settore al quale le famiglie possono affidare con certezza granitica le sorti della propria salute e di quella dei loro bambini. Se oggi in tanti sono onestamente spaventati, quello che serve, come accade in politica dove le decisioni devono fondarsi su un consenso, sono confronti pubblici di natura divulgativa, sereni, pacati, dove nessuno vuole convincere nessuno, nessuno deve sminuire nessuno, dove non si fa leva sulla paura ma sulle argomentazioni, dove si portano studi e si discute con calma sul loro reale significato. La fiducia, Burioni, è uno dei primi motori del mondo. E per fidarsi bisogna sentirsi considerati, rispettati, convincersi che chi abbiamo davanti agisca per il nostro bene e soprattutto per quello dei nostri figli. Una condizione impossibile da ottenere a colpi di provvedimenti disciplinari e di proposte di esclusione della scuole per i bambini non vaccinati. Che non sono privi di copertura vaccinale perché figli di genitori irresponsabili, ma al contrario, in molti casi, perché figli di genitori fin troppo responsabili, al punto da chiedere più garanzie, più informazioni e meno propaganda.

Per questo, oggi, vorrei invitarti a iniziare un confronto pulito, onesto, nel migliore interesse dei bambini e di nessun altro. Per semplificarlo, ti propongo una domanda alla volta, semplice, diretta.

La prima domanda

I vaccini obbligatori in Italia, al momento sono quattro. Correggimi pure se sbaglio: difterite, tetano, poliomielite ed epatite B. Il vaccino contro l’epatite B  è stato introdotto dalla legge del 27 maggio 1991 n. 165. L’obbligatorietà di quel vaccino è nata nel contesto del cataclisma giudiziario che ha “ridotto la struttura direttiva della Farmindustria a un cumulo di macerie“, secondo il Corriere della Sera dell’11 novembre 1993, che qui ti allego per tua comodità.

In Prigione il Gota dei Farmaci - Corriere della Sera 11 novembre 1993

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Soltanto Duilio Poggiolini, responsabile del servizio nazionale farmaceutico per il ministro Francesco De Lorenzo, in quegli anni ha intascato 500 miliardi di bustarelle, per poi, una volta in carcere, dichiarare ai giudici: “Vi parlerò dei meccanismi che regolano il sistema farmaceutico. E vi racconterò degli uomini che fanno girare gli ingranaggi. Non dimenticate, d’altronde, che i Ministri della Sanità sono sempre stati espressione dell’industria farmaceutica“.

Il ministro Francesco De Lorenzo, che dunque secondo uno dei suoi collaboratori più stretti era “espressione dell’industria farmaceutica” e che rese obbligatorio il vaccino contro l’Epatite B, intascò dalla Glaxo -SmithKline, unica produttrice del vaccino, una tangente di 600 milioni di lire, e per questa fu condannato. La conferma della sentenza definitiva della Corte di Cassazione imputa a De Lorenzo e a Poggiolini i reati di concussione e corruzione, dato che “negli anni 1982-1992, nelle posizioni rispettivamente rivestite nell’ambito della pubblica amministrazione, avevano percepito somme da numerose case farmaceutiche, producendo un danno erariale derivato dalla ingiustificata lievitazione della complessiva spesa farmaceutica”.

Stante questi fatti, Burioni, non ti sembra comprensibile che un genitore si domandi perché dovrebbe inoculare una sostanza nell’organismo di suo figlio che non è stata introdotta nel novero dei trattamenti obbligatori sulla base di valutazioni scientifiche e dopo ampie valutazioni, ma perché frutto delle pressioni della lobby farmaceutica e del mero profitto personale? Siamo tutti d’accordo, credo — medici e salumieri -, che l’introduzione di qualunque sostanza nel nostro corpo ha delle conseguenze. E non mi riferisco soltanto ai farmaci, ma anche agli stessi alimenti, che influiscono sulla salute anche se banalmente ingeriti e non iniettati nel sistema circolatorio. La somministrazione di un vaccino dunque, per essere giustificabile, dovrebbe essere il frutto di un’esigenza concreta, fattuale, risultante da un’evidenza medico-scientifica e senza nessun altro fattore inquinante a concorrere nella valutazione. Come può un genitore sapere che una sostanza somministrata al suo bambino (per di più direttamente nel sangue, superando dunque le normali barriere fisiologiche) dipende non da una necessità ragionata, ma da un atto di corruzione, e consentire che tale sostanza sia inoculata, esponendo il suo piccolo a un qualunque rischio, piccolo o grande che sia?

Come vedi, Burioni, i presupposti di questa domanda non sono di carattere scientifico, ma riguardano la sfera della politica e del processo decisionale che porta a normare la vita dei cittadini. Mi sembra un interrogativo che un qualunque genitore di buon senso abbia il diritto di porsi senza per questo essere delegittimato o stigmatizzato.

Io me lo pongo, ad esempio. E, se non dovessi trovare delle argomentazioni convincenti in senso contrario, che ti prego di fornirmi, la mia risposta a questa domanda resterebbe la stessa.

Resto in fiduciosa attesa.

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Macron? Ha imparato dalla Rothschild a manipolare le opinioni

Francois Henrot

Francois Henrot, ex direttore della Banca Rothschild e braccio destro di David de Rothschild, parla di Emmanuel Macron, banchiere e Managing Director della stessa banca dal 2008 al 2013.

“Ha imparato l’arte della negoziazione. Ha imparato anche, nel bene e nel male, qualcosa di molto utile in politica: la comunicazione, raccontare delle storie. In gergo, quando noi facciamo un’operazione, parliamo di equity story, una narrazione che convinca gli azionisti a comprare i nostri titoli e sostenere le nostre operazioni finanziarie. Ha imparato quindi in una certa maniera le tecniche — come dire — non della manipolazione delle opionioni ma… un pochino sì”.

traduzione di PandoraTv

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La sfida epocale della Terra contro il Mare

LE PEN TRUMP PUTIN

di Paolo Becchi

Sbagliano coloro che oggi credono che la partita in Francia sia già chiusa, e che ormai, anche a seguito del “tradimento” di Donald Trump e del suo programma isolazionista, Marine Le Pen sia comunque destinata a soccombere. Più in generale, e sul piano geopolitico, sbagliano coloro che pensano che le potenze «marittime» abbiano ormai avuto la meglio su quelle «telluriche», per dirla con il Carl Schmitt di Terra e mare (Adelphi). L’opposizione tra terra e mare ha costituito, almeno a partire dal XVII secolo, l’asse a partire dal quale si sono nel tempo definiti i rapporti di forza tra gli Stati, e si è instaurata quella dialettica tra equilibrio ed egemonia che ancora oggi determina e misura il tempo della politica.

In fin dei conti, le più recenti mosse di Trump — Siria e Corea del Nord — sono i colpi di coda di una potenza imperiale in declino che vuole riaffermare un ruolo egemone in mondo ormai sì tendenzialmente multipolare, ma che continua periodicamente a cercare nuovi assestamenti e nuovi equilibri: oggi, quello tra il “mare” americano e la “terra” russa. Per dirla ancora una volta con Carl Schmitt, dopo la crisi dello ius publicum europaeum il nuovo nomos della terra si è spostato in Russia e oggi Vladimir Putin, per capacità e visione strategica, è l’unico uomo politico all’altezza del tempo storico che viviamo.

Verso un mondi multipolare, intervista di Byoblu a Pierluigi Fagan

ATLANTISMO EUROPEO

La domanda fondamentale che ora dobbiamo porci è la seguente: quale ruolo è destinata a svolgere l’Europa in questa nuova situazione geopolitica? A partire dal secondo dopoguerra, il Patto atlantico, con la Nato, ha collocato l’Europa in un contesto americano. L’Unione europea non ha fatto altro che continuare nella medesima direzione, con l’alleanza franco-tedesca a partire da Mitterrand e Kohl. L’atlantismo rappresentò, ed ha continuato, sia pure in forme diverse, a rappresentare il vero tratto politico comune delle democrazie europee, l’assicurazione della loro fondamentale collocazione geopolitica dalla parte degli Stati Uniti, e contro la Russia.

La Francia, da questo punto di vista, è sempre stata l’anello debole: più sovranista e più europeista che atlantista, fin da De Gaulle essa ha sempre tentato di rivendicare, contro l’idea di un’Europa satellite delle potenze marittime (Stati Uniti e Inghilterra), quella di un equilibrio tra alleati che garantisse le aspirazioni francesi nazionali a una forte unità continentale.

Se oggi irrompe, nuovamente, il “Fronte Nazionale”, è essenzialmente per la sua forza tellurica, il suo rivendicare la terra come l’esistenza autentica di una Francia che ha da sempre pensato se stessa come destinata a un’alleanza continentale, più che di una sfera d’influenza extra-europea. Era stato così, come si è detto, con De Gaulle, e il suo tentativo di fare della cooperazione franco-tedesca l’asse con cui rendersi indipendente dai due blocchi. Ancor prima, alla fine del XIX secolo e ai tempi del progetto della costruzione della linea ferroviaria Parigi-Vladivostok, era stato carezzato il sogno di un’alleanza Francia-Germania-Russia. Questa vocazione tellurica è tornata oggi a farsi prepotentemente sentire: Le Pen vince nelle terre francesi, nelle province, mentre a Parigi, la capitale, i francesi non vanno più neppure a votare.

E allora, dovremmo chiederci se la vera contrapposizione, oggi, non sia quella tra destra e sinistra — entrambe se ne escono con le ossa rotte dalle elezioni — ma, di nuovo, quella più originaria tra la terra e il mare, tra le potenze telluriche e la finanza globale. Questa è la vera sfida epocale. Da una parte, le forze populiste, che non sono né di destra né di sinistra, ma sono le forze legate alla terra, all’agricoltura e all’industria, al recupero di un’idea nazionale e, insieme, delle grandi questioni sociali del nostro tempo, a partire da quella del lavoro. Dall’altra, le élites finanziarie, con il loro modello di sviluppo liberista fondato in Europa su una moneta che ha solo il compito di distruggere i deboli a vantaggio dei forti, per imporre dappertutto la forza astratta del globalismo marittimo. Il sovranismo identitario è così diventato l’alleato naturale di tutti coloro che contestano le devastazioni della globalizzazione. Così sovranismo e questione sociale inevitabilmente si intrecciano, dando luogo a una miscela esplosiva. Carl Schmitt avrebbe detto: die konservative Revolution (la rivoluzione conservatrice) contro quella liberale.

Le Pen vuole restaurare lo Stato, le frontiere, la voglia di comunità, il senso di appartenenza nazionale e per farlo ha persino “ucciso” il padre, trasformando il suo partito, mutandone sostanzialmente la natura. Macron si è inventato un partito in due giorni, un partito privo di qualsiasi radicamento sul territorio, è il banchiere, europeista e cosmopolita, liberale, l’uomo dei flussi migratori e dei capitali, della casta mediatica, l’uomo d’affari per cui l’interesse pubblico è al servizio di quello privato, un prodotto fecondato in vitro dalle élite finanziarie per sconfiggere una donna, la nuova Giovanna d’Arco.

Fuori dal Neoliberismo, intervista di Byoblu a Mauro Scardovelli

CONFLITTO DEGLI ELEMENTI

Terra e mare, il conflitto degli elementi continua. Un conflitto che oggi significa e ha preso la forma dell’opposizione tra popoli stanziati su territori che rivendicano il senso della loro radici e la cosmopolis “rizomatica” della società liquida. Chi ha votato Le Pen o Mélenchon — se superiamo le ormai obsolete contrapposizioni ideologiche tra destra e sinistra, le grandi narrazioni del secolo scorso — ha votato per la stessa cosa e contro la stessa cosa: per la terra, contro il mare. Per vincere Le Pen dovrà però riuscire a dimostrare che non si vota “pro o contro il Fronte Nazionale”, ma pro o contro la globalizzazione e i suoi prodotti tossici, in primis l’euro; dovrà cioè riuscire a dimostrare che se vince lei vincono i francesi, e potranno un domani vincere anche gli italiani, i tedeschi e così via se vince Macron vincono le élite finanziarie mondialiste e le burocrazie dell’Unione europea.

La posta in gioco è altissima. La Francia, uno Stato nazionale, può ancora spostare gli equilibri geopolitici globali. La vittoria di Le Pen sarà una sconfitta dell’atlantismo, del mare, e la nascita di un nuovo grande spazio: quello tellurico euroasiatico.

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