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La cura del benessere: Gore Verbinski torna all’horror

La cura del benessere: Gore Verbinski torna all’horror

Centri benessere che nascondono pratiche innominabili nel nuovo film di Gore Verbinski, titolo originale: A cure for wellness (La cura del benessere, da noi), protagonista Dan De Haan, a brevesugli schermi italiani, dopo aver ottenuto risultati ben poco lusinghieri oltreoceano.

Lockart, giovane dirigente fresco di nomina di una società finanziaria newyorkese, viene mandato in Svizzera a recuperare presso un centro benessere isolato dal resto del mondo l’amministratore delegato della compagnia, Pembroke,  a seguito dell’arrivo di una sua lettera, apparentemente scritta da una persona con evidenti disturbi mentali La presenza del CEO in patria è peraltro resa necessaria da un’imminente fusione, mentre il Consiglio di Amministrazionene è intenzionato a scaricare sullo stesso Pembroke la responsabilità di alcune pratiche poco pulite.

Il protagonista non impiegherà molto a capire che di ‘benessere’ nella clinica in questione ce n’è ben poco: forse solo quello del direttore, il dr. Heinreich Volmer, i cui oscuri scopi sono legati a un male che dura da duecento anni. Le cose si complicheranno ulteriormente quando il nostro a seguito di un incidente si troverà bloccato lì. Lungo la strada, il protagonista troverà l’aiuto di Hannah, una giovane e misteriosa donna che sembra essere legata a doppio filo con lo stesso Volmer…

Gore Verbinski torna al cinema di genere horror con La cura del benessere

Dopo aver raggiunto il successo globale con la prima trilogia de I Pirati dei Caraibi, vinto un Oscar nell’animazione con Rango e aver portato sugli schermi l’eroe fumettistico The Lone Ranger, Gore Verbinski si cimenta in una parentesi dai tratti gotici, incanalandosi nel filone degli scienziati / medici pazzi.

Autore della sceneggiatura Justin Hayth (Revolutionary Road), già collaboratore di Verbinski proprio in occasione delle avventure del ‘ranger solitario’.

Ambientato in Germania, girato in gran parte nel Castello Reale degli Hohenzollern a Bisingen e negli studi Baselberg di Potsdam, La cura del benessere vede il ritorno sugli schermi di Dan De Haan, che ha recentemente interpretato James Dean in Life di Anton Cobijn; suo antagonista, nel ruolo del sulfureo Volmer è Jason Isaacs, già Lucius Malfoy nella saga di Harry Potter, e noto in tv per i ruoli di Michael Caffee in Broterhood e del Dr. Percy in The OA.

Mia Goth, vista in Nymphomaniac Vol. II., darà le fattezze alla riluttante alleata del protagonista. Il resto del cast include, tra gli altri Adrian Schiller (The Danish Girl, Suffragette), Celia Imrie (Calendar Girls, Marigold Hotel).

Contrastante il giudizio della critica: il consenso dato alla regia e all’aspetto visivo non è bastato a bilanciare le stroncature date alla sceneggiatura di un film che ai più è apparso scontato e decisamente prevedibile negli sviluppi.

Il botteghino sembra allo stesso tempo aver finora sancito la poca riuscita dell’operazione, i cui ricavi al momento sono ancora lontani dai 40 miliardi di budget del film.

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Il diritto di contare: le “figure nascoste” nella storia della NASA

Il diritto di contare: le “figure nascoste” nella storia della NASA

Arriva in sala il prossimo 8 marzo Il diritto di contare, film di Theodore Melfi con Taraji P. Henson, Octavia Spencer, Janelle Monáe e Kevin Costner.

L’epopea della corsa americana alla conquista dello spazio e della Luna, a ormai mezzo secolo di distanza, si è lasciata alle spalle il ricordo indelebile della manciata di uomini che hanno messo piede sul nostro satellite, lasciando però nell’ombra e talvolta condannando all’oblio le decine di scienziati e tecnici che resero possibile quell’avventura: un patrimonio di personaggi e storie ancora ampiamente inesplorato anche sotto il profilo cinematografico.

Contribuisce oggi a colmare seppur in minima parte,  Hidden Figures, in italiano Il diritto di contare, dedicato alle matematiche afroamericane Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson, che diedero un contributo fondamentale ai calcoli relativi alle rotte, alle traiettorie, alle cosiddette ‘finestre di lancio’, delle navette, attraversando tutta l’età dell’oro del programma spaziale americano, dal primo volo orbitale di John Glenn, alla missione lunare dell’Apollo XI, fino ai voli dello Shuttle e ai primi calcoli relativi al possibile viaggio verso Marte.

Tutto ciò usando il loro talento per la matematica e  avvalendosi anche dei primi calcolatori elettronici, in un’epoca in cui per mandare l’uomo sulla Luna vennero usate tecnologie che oggi appaiono obsolete anche per il più comune degli smartphone.

Il Diritto di ContareDonne e per di più afroamericane: in una società in cui i pregiudizi razziali erano ancora radicati e il femminismo era ben al di là da venire, Katherine Johnson e le sue colleghe riuscirono a farsi largo e dare un contributo determinante alle missioni spaziali, in un ambiente che, pur non esente dai medesimi pregiudizi presenti nel resto della società, era uno dei pochi ‘porti franchi’ in cui le capacità di chiunque di contribuire alla causa del programma spaziale andavano oltre qualsiasi considerazione legata a sesso o colore della pelle.

A portare sullo schermo la vicenda è stato Theodore Melfi – che  ne ha scritto anche la sceneggiatura assieme ad Allison Schroeder – qui  al suo secondo lungometraggio dopo essersi segnalato con l’esordio della commedia musicale St. Vincent, utilizzando come base di partenza la biografia firmata da Margot Lee Shatterly.

Le tre protagoniste avranno i volti di Tarji P. Henson (Katherine Johnson), candidata all’Oscar per Il curioso caso di Benjamin Button e gunta alla grande notorietà grazie ai ruoli di Jocelyn Carter nella serie Person of Interest e soprattutto di Cookie Lyon in Empire; Octavia Spencer (Dorothy Vaughan), pluripremiata per la sua interpretazione in The Help e Janelle Monáe (Mary Jackson), fin qui nota soprattutto per la sua carriera di cantante r’n’b.

Della partita saranno anche Kevin Costner, Kirsten Dunst e Jim Parsons (lo Sheldon Cooper di Big Bang Tehory), mentre Glen Powell (Tutti vogliono qualcosa) ‘nomen omen’ darà il volto a John Glenn, primo astronauta statunitense ad aver compiuto un volo orbitale attorno alla Terra.

Colonna sonora firmata da Hans Zimmer e cui ha collaborato anche il re Mida del pop di matrice funk e r’n’b Pharrell Williams,  con la canzone portante Runnin; Williams ha tra l’altro contribuito anche alla produzione del film.

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T2 Trainspotting: Mark Renton torna a casa

T2 Trainspotting: Mark Renton torna a casa

In T2 Trainspotting, Mark Renton torna a casa: sono passati vent’anni da quando ha tradito gli  amici di una vita e rinnegato il suo mantra esistenziale, quello di ‘scegliere di non scegliere. Renton ha scelto: complice un mucchio di soldi, è scappato  all’estero, abbandonando tutto per salvarsi dall’autodistruzione.

Edimburgo non è poi così grande, e non ci vorrà molto perché Mark reincontri la banda di un tempo:  l’indifeso Spud e il cinico Sick Boy alla fine non gliene vorranno più di tanto, avendo compreso e in fondo condiviso le ragioni di quella scelta; ad essersela legata al dito sarà invece il violento Begbie; e non dimentichiamo Diane, il legame sentimentale di un tempo, anch’essa repentinamente abbandonata…

Certi legami tuttavia resistono al passare del tempo e talvolta anche ai tradimenti e così non ci vorrà molto perché i nostri si trovino nuovamente coinvolti tutti insieme, stavolta con un’improbabile e tragicomica avventura nel business del cinema hard…

T2 Trainspottingla recensione

A vent’anni di distanza, ha preso finalmente corpo il progetto a lungo covato da Danny Boyle di tornare sul luogo del delitto, riformare la vecchia banda tornare a raccontare le vicende presenti di Mark e soci,

contemporaneamente sollevando il velo sul passato e narrando le origini e lo sviluppo di quel legame per la vita. La sceneggiatura è nuovamente curata da John Hodge, che ha nuovamente tradotto per lo schermo le pagine di Irvin Welsh, in parte quelle dello  stesso Trainspotting, ma anche e soprattutto dal  suo seguito, Porno.

L’idea di un seguito al film — culto di inizio anni ’90 è stata a lungo covata da Boyle: la realizzazione concreta ha dovuto attendere, sia per motivi squisitamente anagrafici, con l’invecchiamento degli attori di un tempo, sia la disponibilità dell’intero cast: i semie sordienti all’epoca di  Trainspotting si sono infatti tutti più o meno affermati, al cinema e in televisione, e si è quindi dovuto trovare il momento giusto perché tutti avessero modo di partecipare.

Tutti gli attori del primo film sono infatti tornati volentieri a interpretare i personaggi che li portarono alla notorietà, a partire da Ewan McGregor / Mark e Robert Carlysle / Begbie, passando per Johnny Lee Miller / Sick Boy e Ewen Bremmer / Spud, fino a Kelly McDonald nel ruolo di Diane; grazie ad alcune scene riprese dal capitolo precedente, tornerà anche il personaggio di Tommy Boy, cui dava il volto Kevin McKidd.

T2 Trainspotting, sugli schermi italiani a partire dal prossimo 23 febbraio, non è probabilmente destinato ad assurgere allo status di culto che arrise al suo predecessore, promettendo tuttavia di offrire agli spettatori di un tempo più di una riflessione sul passare degli anni e l’uso della propria vita, sulle note di una colonna sonora che promette di essere nuovamente una delle travi portanti del film con brani di Clash, Prodigy, Queen e con l’immancabile presenza degli Underworld.

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Trainspotting recensione del film di Danny Boyle

Trainspotting recensione del film di Danny Boyle

Film culto diretto da Danny Boyle, Trainspotting ha segnato la storia del cinema degli anni ’90, diventando una delle fotografie più impietose e feroci di una generazione allo sbando.

Edimburgo, primi anni ’90: le vite di un gruppo di ragazzi delle periferie trascorrono senza senso e senza direzione, all’insegna di un vuoto esistenziale colmato solo dalla droga, o dall’alcol, tra poco convinti tentativi di disintossicazione, prevedibili ricadute, serate in discoteca seguite da avventure sessuali, risse.

Piccoli e grandi drammi, punti di non ritorno e una ‘grande occasione’ per fare soldi facili che, per almeno uno dei protagonisti, potrebbe rappresentare un punto di svolta, sia pure a caro prezzo.

È il 1996 quando Danny Boyle, reduce dall’esordio di Piccoli omicidi tra amici, porta sugli schermi l’omonimo romanzo d’esordio di Irvine Welsh, uscito tre  anni prima, autentico ‘caso letterario’ e cult generazionale (almeno oltre Manica: in Italia, come spesso avviene, il libro cominciò a circolare discretamente proprio grazie al film).

Le vicende di Mark, Spud, Sick Boy, Begbie e Tommy vengono riprese abbastanza fedelmente nel film, ricalcando la struttura narrativa del romanzo, priva di una vera e propria linearità, ma costituita da una sequenza di episodi a cavallo tra il macabro e l’eccessivo che strappa una risata, l’ironia e il dramma.

A dare i volti ai personaggi, un pugno di giovani attori più o meno esordienti, dei quali si sarebbe sentito parlare in seguito, a cominciare da Ewan McGregor nel ruolo di Mark, voce narrante e protagonista principale del film, uno sbandato senza cattiveria che prende coscienza di come l’unica strada per la salvezza dall’autodistruzione sia  quella di abbandonare quel mondo; proseguendo con Robert Carlysle, il cinico Begbie, che alla tossicodipendenza preferisce la violenza e le risse; continuando con Ewen Bremmer, l’indifeso e imbelle Spud, per finire con Johnny Lee Miller nel ruolo del viscido Sick Boy e Kevin McKidd in quello di Tommy; Kelly McDonald dà il volto a Diane, possibile interesse, per una volta non solo sessuale, del protagonista.

Un cast che funziona soprattutto nella sua coralità, più che nelle singole parti.

Trainspotting 2: il primo trailer ufficiale del film di Danny Boyle

Tutti più o meno affermatisi in seguito: Bremmer forse è quello che ha avuto la carriera meno sfolgorante — proseguita tra gli altri, con Funeral Party e giunta ai giorni nostri con l’imminente Wonder Woman — mentre la McDonald ha partecipato a  Gosford Park e Non è un paese per vecchi e Johnny Lee Miller ha raggiunto recentemente la notorietà come nel Sherlock nell’omonima serie tv.

Più solido il curriculum di Robert Carlysle, che ha lavorato con Ken Loach ed è stato uno degli antagonisti del James Bond di Pierce Brosnan, prima di sbarcare sul piccolo schermo come Tremontino in Once Upon a Time, ma che ha legato il suo nome soprattutto a Full Monty, per il quale ha vinto un Bafta.

Ewan McGregor è diventato una star hollywoodiana dalla grande versatilità, capace di passare attraverso un’ampia gamma di ruoli e salendo alla ribalta internazionale come protagonista della seconda trilogia di Guerre Stellari.

Curiosa la sorte di Kevin McKidd, qui quasi irriconoscibile, che dopo un lungo periodo di anonimato, è tornato alla ribalta negli anni 2000 sul piccolo schermo, legandosi soprattutto al ruolo di Owen Hunt in Grey’s Anatomy: esordire nel ruolo di un tossico e arrivare al successo grazie a quello di un medico…

Al di là delle varie vicissitudini degli attori, Trainspotting, col passare del tempo, ha perso buona parte del suo smalto: all’epoca fu dipinto quasi come una sorta di “Arancia Meccanica” di fine millennio, grazie soprattutto a certe sequenze piuttosto disturbanti, un lavoro che descriveva il vuoto esistenziale della gioventù britannica e non solo, priva di punti di riferimento, soprattutto in termini politici, dopo la caduta del Muro di Berlino, la fine del lungo ‘regno’ di Margareth Thatcher, l’inizio di una nuova ‘età del disimpegno’ personificata da Tony Blair e dai suoi ‘New Labour’, rappresentanti di una ‘sinistra’ rampante e spregiudicata.

Ciò nonostante, Trainspotting conserva comunque la sua validità come ritratto di un’epoca, forse soprattutto sotto il profilo musicale, impreziosito da una colonna sonora che gioca un ruolo determinante, in cui a fianco di classici come Joy Division, Brian Eno, Iggy Pop, David Bowie e Lou Reed, trovano spazio alcuni dei principali gruppi britannici del periodo: dai Blur ai Pulp, dai Primal Scream alle Elastica, fino agli Underworld, con quella Born Slippy che ai tempi divenne un vero e proprio ‘tormentone’.

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Liam Neeson tra cinema storico e action movie

Liam Neeson tra cinema storico e action movie

Dopo la scorpacciata action, Liam Neeson torna a fare il cinema che conta, lo fa con Martin Scorsese e con il suo Silence, in sala dal 12 gennaio 2017.

È abbastanza consueto, per un attore, ritrovarsi prima o poi a vestire i panni di uomini di altre epoche; tuttavia, per caso o inclinazione, vi sono artisti che sembrano più adatti di altri a rivivere la ‘storia’, quella con la ‘S’ maiuscola, e quella delle persone comuni, quella raccontata rispettando accuratamente i fatti e quella più o meno romanzata.

Liam Neeson può essere inserito a buon nella categoria: recentissima per l’attore nord-irlandese la partecipazione proprio al film di Scorsese, in cui ha interpretato un padre gesuita, vittima delle persecuzioni ai danni dei cristiani nel Giappone del diciassettesimo secolo.

L’attore, nato nel 1952 a Ballymena, torna così a dare vita a un sacerdote gesuita a trent’anni di distanza dal ruolo analogo in Mission di Roland Joffé, film che contribuì alla sua affermazione sulla scena cinematografica internazionale.Silence

Liam Neeson e il cinema della storia

I film di ambientazione storica più o meno recente o marcatamente biografici hanno costellato buona parte della carriera di Neeson, almeno fino all’inizio degli anni duemila, dandogli modo di offrire le sue interpretazioni più convincenti e facendogli ottenere i maggiori consensi da parte di pubblico e critica.

Il fatto che per il suo film di esordio, Pilgrim’s Progress (1978) gli sia stato affidato il ruolo di Gesù Cristo, col senno di poi sembra una sorta di presagio di come la ‘storia’ sarebbe tornata più volte a fare capolino nella sua filmografia.

Il decennio successivo vedrà l’attore affermarsi progressivamente, proprio grazie alle partecipazioni pellicole a carattere storico: nel 1984 eccolo far parte della ciurma ammutinata de Il Bounty di Roger Donaldson, affiancando il Mel Gibson contro il capitano vessatore Anthony Hopkins e nel 1986 nel già citato The Mission, insieme a Robert De Niro e Jeremy Irons.

Gli anni ’90 di Liam Neeson

L’inclinazione di Neeson per l’interpretazione di personaggi realmente esistiti subisce un’ulteriore – e decisiva – svolta  nel 1993, quando Steven Spielberg gli affida il ruolo del protagonista nel pluri-premiato Schindler’s List: l’interpretazione dell’industriale tedesco protagonista del salvataggio di migliaia di ebrei dalle persecuzioni naziste gli vale una pioggia di nomination ai più importanti premi del cinema mondiale, a cominciare da quella per l’Oscar.

schindlers-listGli anni ’90 rappresentano l’apice della carriera di Neeson, corrispondendo coi suoi ruoli più importanti, ancora una volta in film a carattere biografico, e a questo punto sembra difficile parlare di semplici coincidenze, a cominciare da Michael Collins di Neil Jordan, epopea sulla lotta irlandese per l’indipendenza dal Regno Unito per il quale Neeson viene premiato con la Coppa Volpi per il miglior attore protagonista al Festival di Venezia del 1996.

L’anno precedente l’attore era stato protagonista di Rob Roy, altro dramma storico, stavolta ambientato nella Scozia del 1700, mentre nel 1998 eccolo nella Francia della Restaurazione, nel  ruolo di Jean Valjean nell’adattamento de I Miserabili di Victor Hugo firmato da Billie August.

Agli inizi dei 2000, Kathryn Bigelow lo vuole a fianco di Harrison Ford nell’equipaggio di K19 – The  Widowmaker, film ispirato alla vicenda realmente accaduta di un incidente potenzialmente catastrofico al primo sottomarino russo equipaggiato con armi nucleari, alla fine degli anni ’60; nello stesso anno, il 2002, Martin Scorsese lo chiama per il ruolo – per quanto di breve durata – del  leader di una gang di immigrati di origine irlandese, in Gangs of New York.

Due anni dopo è la volta di una nuova biografia in Kinsey, film dedicato al pioniere degli studi sulle abitudini sessuali nella società, americana e non solo. In seguito, è la volta di un nuovo viaggio a ritroso nel tempo ne Le Crociate di Ridley Scott.

Quest’ultimo resta, per lungo tempo, l’ultimo film a carattere storico interpretato da Neeson, che torna al filone solo oggi,  con il già citato Silence; nel frattempo sembra prendere il via nuova fase per la carriera dell’attore, il quale si concentra maggiormente su pellicole più movimentate, in cui l’azione la fa da padrone, sfruttando la sua prestanza fisica e riscoprendo le proprie doti atletiche: in gioventù  aveva tentato, senza molto successo, la strada del calcio, avviando poi la carriera di pugile, interrotta da un grave infortunio e perfezionandosi in seguito nelle arti marziali durante il servizio militare.

Un bagaglio di esperienze che è servito all’attore sia a inizio carriera, per il ruolo di Gavain in Excalibur e nel fantastico Krull, sia in seguito, in Darkman, originale film di Sam Raimi incentrato su un giustiziere mascherato e soprattutto in Star Wars: Episodio I — La Minaccia Fantasma, per la parte di Qui-Gon Jinn, che gli offre una buona popolarità presso il grande pubblico.

La svolta action di Liam Neeson

liam-neeson-batmanÈ dagli anni 2000 in poi però che Neeson abbraccia con maggiore convinzione la causa degli action movie, con ruoli come quelli di Ra’s al Ghul in due dei film della trilogia batmaniana firmata da Cristopher Nolan,di Zeus nei due mitologici dedicati ai ‘Titani’ e di Hannibal Smith nel remake della serie tv A-Team;  lottando per la sopravvivenza tra i ghiacci dell’Alaska in The Grey e correndo al salvataggio della moglie ingiustamente carcerata in The Next Three Days, diretto da Paul Haggis, per il quale tornerà sul set in Third Person; una fase della carriera che ha trovato il suo definitivo sviluppo nella trilogia di Taken.

Dopo averlo visto recentemente interpretare un killer irlandese disilluso e pieno di rimpianti in Run All Night di Jaume Collett-Serra, ora attendiamo Neeson nel fantastico A Monster Calls di Antonio Bayona e soprattutto in Silence: per l’attore di Ballymena (diretto in passato anche da La svolta action di Liam Neeson in Mariti e mogli, da  Neil Jordan e Atom Egoyan) un ritorno al cinema d’autore e soprattutto a quei film di ambientazione storica che ne hanno contraddistinto buona parte della carriera e i suoi maggiori successi.taken-3

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