La bibbia copiata da testi sumeri?

La Bibbia della tradizione giudaico-cristiana, più che essere ispirata (o addirittura dettata) da Dio, ha molti debiti nei confronti della cultura sumerica. 

In particolare, buona parte del Genesi non è altro che una trasposizione di episodi narrati in alcuni poemi mitologici sumeri, ripresi dalle successive civiltà mesopotamiche. Il paradiso terrestre, ad esempio, ha il suo corrispettivo nel mito di Dilmun, del quale ricalca fedelmente la descrizione paesaggistica. 
Nella narrazione sono presenti elementi molto eloquenti: la dea Nin-Ti fa riferimento nel suo nome alla vita e alla costola, laddove, nella Bibbia, Eva è la progenitrice creata da una costola dell’uomo; il dio Enki, dopo aver fatto sgorgare l’acqua dolce dalla terra, aiutando la sorella Ninhursag nella creazione delle piante originarie, se le divora, provocando l’ira della dea che decide di nascondersi; se nella Bibbia Dio punisce Eva con il parto doloroso, nel mito sumero si fa riferimento al parto indolore….

Ma nell’episodio del diluvio, analogie ed associazioni lasciano il posto a una vera e propria clonazione. Il Noè sumero, Ziusudra, in accadico Atrahasis e in babilonese Ut-Napishtim, avvisato dal dio Enki che Enlil aveva deciso di sterminare gli uomini per punizione, costruisce una nave, nella quale imbarca esemplari di tutte le specie viventi.

Al termine del diluvio, manda, come Noè, degli uccelli in perlustrazione, alla ricerca di terre emerse. Una volta accertatosi del ritiro delle acque, Ziusudra costruisce un altare ed offre un sacrificio agli dei, i quali, placati, lo benedicono, esattamente lo stesso sviluppo del racconto biblico.
Ma analogie e clonazioni non si fermano alle parti più arcaiche e mitologiche della Bibbia.

Esemplare a questo proposito è il racconto, contenuto in Esodo, della nascita di Mosè. Il nome stesso del profeta ebraico fa riferimento all’estrazione dalle acque, anche se è dibattuto se si riferisca al salvataggio del neonato dalle acque del Nilo o all’aver condotto il popolo attraverso il Mar Rosso (in realtà, la palude detta Mare di giunchi, secondo le interpretazioni filologiche più accreditate, situata a nord di Suez: anche ad aver fede nel miracolo della divisione delle acque, non si spiegherebbe il motivo per cui Mosè abbia spinto il suo popolo così a sud, nel viaggio verso Canaan).

Ritornando all’esposizione di Mosè nelle acque del Nilo, per salvarlo dall’eccidio dei neonati ebrei ordinato dal faraone, e la conseguente salvezza dell’infante dovuta all’intervento della figlia del faraone, il racconto segue pari pari il mito di Sargon, fondatore dell’impero accadico, la prima civiltà monumentale semitica della storia. Sargon, figlio illegittimo di una sacerdotessa, viene da questa abbandonato nel fiume, da cui viene tratto in salvo dal pastore e contadino Akki. Il racconto di Sargon combacia persino nei particolari (la cesta impermeabilizzata col bitume) con racconti successivi (non solo Mosè, ma anche Romolo ed altri) ed è stato considerato archetipale per una serie di miti di eroi nazionali da Otto Rank, allievo e assistente di Freud, nel suo fortunato saggio d’esordio del 1909 Il mito della nascita dell’eroe.

Le ragioni di una tale quantità di coincidenze tra la Bibbia e i poemi mitologici mesopotamici sono facilmente intuibili e sono narrate nello stesso libro sacro giudaico-cristiano.

Abramo, il primo patriarca, emigrò col padre Terah e la famiglia da Ur dei Caldei, antichissima città sumera situata non lontano dal Golfo Persico, ad Harran, nei monti della Mesopotamia settentrionale; da qui, successivamente si spostò nella terra di Canaan, da dove, a causa di una carestia, dovette emigrare in Egitto. Appare ovvio che il patriarca si portò dietro un bagaglio culturale costituito dai miti di origine sumera, evidentemente popolari nella sua terra di provenienza. Se poi consideriamo che i riscontri storici dell’epopea di Abramo sono situabili nella fase finale del III millennio a.C., in un periodo immediatamente successivo alla fine dell’impero degli Accadi, popolo semita come gli Ebrei, appare verosimile ipotizzare che in quel bagaglio culturale ci fosse anche il mito di Sargon, fresco di conio.

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