Lo strano caso della bestia di Gévaudan

Lupo mannaro o assassino seriale?

Gévaudan, Francia meridionale. Estate 1764. La prima vittima, una ragazzina. Una bestia assetata di sangue ha aggredito la bambina facendola a pezzi. Sarà la prima di una lunga sequela di morti violente, più di un centinaio. Per tre anni questo mostro terrorizzò gli abitanti di Gévaudan. Nessuno riusciva a stanarlo. I fatti erano talmente gravi e imperscrutabili, che addirittura re Luigi XV inviò le sue truppe a caccia dell’assassino. Senza nemmeno sapere chi o cosa cercare: una bestia feroce? Un killer seriale? Oppure il Diavolo in persona che, per punire gli abitanti di Gévaudan dei loro peccati, sterminava senza pietà i loro figli e le loro donne? Il caso della bestia di Gévaudan non fu mai pienamente risolto.

Dolmen e sangue

Al mistero truce delle morti, si aggiunge l’atmosfera magica dell’area di Gévaudan (oggi Dipartimento di Lozère) che sin dai tempi più antichi era luogo di sepoltura. Lo testimonia la forte presenza di dolmen e menhir, resti del Neolitico. Nell’epoca in cui si verificò il caso della bestia, il Gévaudan faceva parte della diocesi di Mende e la Francia era governata da re Luigi XV. Tutto iniziò con il racconto di una contadina di Langagne che affermava di aver visto una bestia spaventosa, una specie di lupo gigantesco che aveva tentato di saltarle addosso, facendo fuggire i cani. Furono i buoi a salvare la donna, mettendosi fra lei e la bestia, minacciando il mostro con le loro corna affilate…

Francia meridionale. Mappa del territorio in cui ebbero luogo le aggressioni 
della “bestia di Gévaudan“.
Carta di: Sanguinez CC BY SA 3.0

Nessuno volle crederle, ma pochi giorni dopo, il 30 giugno, accadde il primo fatto di sangue. Si trovò morta in mezzo a un campo la ragazzina quattordicenne Jeanne Boudet, della parrocchia di Saint-Etienne-de-Lugdarès, sgozzata e orribilmente sfigurata, in parte divorata. Da quel momento i morti si susseguirono. Di tanto in tanto si spostava il raggio d’azione del mostro, ma restava pur sempre circoscritto dalle campagne del Gévaudan, in un’area di circa 90 km. A Masméjean, nelle vicinanze del bosco di Mercoire, la bestia uccise una ragazza quindicenne e poi un ragazzo della stessa età. Poco più tardi una donna e ancora due ragazzini.

Nell’arco di tre anni la bestia avrebbe colpito 240 persone, quasi tutte donne e bambini. Più di un centinaio di vittime trovò la morte, 53 di esse sopravvissero all’attacco riportando notevoli ferite. La tecnica omicida era sempre la stessa: le vittime venivano sgozzate e poi dilaniate. Come in un film dell’orrore, si narrava di corpi mutilati, teste mozzate, volti irriconoscibili, organi strappati dal ventre. Dappertutto erano le ferite profonde di terribili zanne.

Che animale poteva compiere simili efferatezze su esseri umani? La contadina aveva parlato di un lupo enorme, grande quanto un asino. Nessuno aveva mai visto un animale simile in vita sua. Si trattava forse del Diavolo? Così dovette pensare il vescovo della diocesi di Mende, monsignor Gabriel-Florent de Choiseul Beaupré, che scrisse in una pastorale:
“La Giustizia divina, dice Sant’Agostino, non può ammettere l’infelicità degli innocenti. La punizione da lui mandata presume sempre la presenza del peccato di chi l’ha attirata su di sé.”

La presenza del peccato? E che mai potevano aver fatto, di così terribile, dei bambini inermi per meritare quella punizione feroce? Forse le colpe dei genitori ricadevano sui figli innocenti? Domande che di certo si pose anche re Luigi XV, il quale, messo al corrente dei fatti cruenti di Gévaudan, si decise a inviare nel Midi un’unità di 57 dragoni agli ordini del capitano Duhamel. Inutilmente. Nemmeno questi uomini armati e abituati alla lotta riuscirono a scovare il mostro. Ci provarono allora due cacciatori esperti giunti dalla Normandia, noti per aver ucciso ben 1200 lupi. Niente. Anch’essi se ne tornarono a casa a mani vuote.

Ci provò il cacciatore del re, monsieur Francois Antoine, scortato da una schiera di aiutanti e un nutrito branco di cani, alcuni dei quali specializzati nella caccia al lupo. Niente, nemmeno questa volta. Anzi, Antoine accusò i fratelli Chastel, due giovani uomini presenti all’operazione, di averlo condotto intenzionalmente in una zona paludosa mettendo in pericolo la sua vita. Il cacciatore del re ci avrebbe quasi lasciato le penne, mentre i Chastel se ne stavano a guardare. Alla fine di agosto, i due fratelli furono tenuti in stato di arresto per dodici giorni. E in questi dodici giorni la bestia di Gévaudan non aggredì nessuno. Una coincidenza?

Forse, ma questo fatto diede adito a speculazioni e sospetti presso la gente del luogo. Si arrivò a insinuare che i Chastel avessero allevato il mostro nascostamente e lo lasciassero libero di tanto in tanto per sfogare le loro smanie assassine. In ogni caso, poco dopo la liberazione dei due fratelli, la bestia colpì ancora. Non servirono le spedizioni di contadini armati di forconi e coltelli, non servirono le carogne appositamente avvelenate e preparate ad hoc nei boschi per attirare il mostro, e non servirono neanche i soldati travestiti da donna, pronti ad accogliere il lupo o falso lupo che fosse. Il mostro continuava a mietere vittime indisturbato.

La pallottola d’argento

Nel febbraio 1765, un esercito di 20.000 persone rastrellò meticolosamente campi e boschi alla ricerca della bestia di Gévaudan. Senza successo. In settembre, re Luigi XV e il vescovo di Mende giocarono l’ultima carta: misero una taglia sul mostro di Gévaudan, una somma enorme per l’epoca: 9000 libbre. E finalmente qualcosa accadde. Francois Antoine, il cacciatore di corte, sparò il colpo fatale. Uccise un grosso lupo e presentò trionfante la carcassa alle genti di Gévaudan. Dopodiché si recò a Parigi, dal re, a incassare la taglia.

La maledizione sembrò aver fine. Il mostro era morto. Il mese di settembre passò. In ottobre e in novembre non accadde nulla. Ma proprio quando le genti di Gévaudan si credevano sicure e tirarono un rosso sospiro di sollievo, la bestia tornò all’attacco. Dapprima aggredì un ragazzino quattordicenne che riuscì a salvarsi. Poi ferì gravemente un bambino di sette anni e infine uccise tre ragazzine, poco prima della festa di Natale. Un altro Natale di sangue per le genti di Gévaudan.

Testimoni oculari scampati alla morte affermarono che la bestia non dimostrava nessun interesse per gli animali, non degnava di uno sguardo le pecore al pascolo, ma puntava direttamente sugli esseri umani. E soprattutto su donne e bambini. Un comportamento davvero obsoleto per un lupo. Ma era poi davvero un lupo? Oppure un uomo travestito da lupo? Un assassino seriale affetto da cannibalismo? Un lupo mannaro?

A quel punto si fece avanti Jean Chastel, padre dei due fratelli sospetti di cui sopra. Questi era un oste dalla nomina di cacciatore impavido. Per qualche motivo sconosciuto lo chiamavano “la maschera”. Chastel proclamò che c’era un solo modo di uccidere un lupo mannaro: una pallottola d’argento fabbricata espressamente a tale scopo. Dunque preparò la munizione con le proprie mani e la fece poi benedire da un sacerdote. Così, armato di una pallottola d’argento e forse anche con l’intenzione di riscattare il nome dei figli, andò a caccia del mostro. E in effetti lo trovò e lo uccise. Era il 19 giugno 1767. Una bestia enorme, si disse, e non era un lupo. Allora di che si trattava?

Il rapporto Marin e la lettera di Puy-de Dôme

Nel 1958 venne alla luce un bizzarro documento depositato all’Archivio Nazionale di Parigi. Il “Rapport Marin”. Questo fascicolo, inserito in una raccolta di documenti che riguardavano l’eliminazione di animali pericolosi, porta il numero F 10-476. E fu redatto dal notaio Roch Etienne Marin nel castello di Besques il 20 giugno 1767, dunque il giorno dopo l’uccisione della bestia di Gévaudan. Ecco la parte più saliente:

“Il signor Marchese ha fatto portare questo animale nel suo castello di Besques, parrocchia di Charraix. Così abbiamo deciso di recarci lì per esaminarlo e, una volta arrivati, il signor Marchese d’Apchier ci ha fatto mostrare l’animale che ci parve essere un lupo. Ma straordinario e molto differente per la sua figura e le sue proporzioni dai lupi che si vedono nel nostro paese. Più di trecento persone giunte dai dintorni per vederlo, ci hanno confermato quanto segue: molti cacciatori e molta gente a noi nota ci hanno fatto notare che questo animale assomiglia a un lupo soltanto nella coda e nella parte posteriore, giacché la sua testa, come si vedrà sulla base delle proporzioni riportate più avanti, è mostruosa! I suoi occhi hanno una membrana singolare che va dalla parte inferiore dell’orbita sino a ricoprire il globo oculare. Il suo collo è ricoperto di un pelo molto spesso di un grigio rossastro attraversato da qualche striscia nera. Sul petto ha una grande macchia bianca a forma di cuore, le sue zampe presentano quattro dita armate di grossi artigli, molto più lunghi di quelli di un lupo normale. Ugualmente le zampe sono molto robuste, soprattutto le anteriori, dal colore di cerbiatto, (…) un colore mai visto addosso agli altri lupi.”
Poi vengono elencate, in modo molto dettagliato, le misure della bestia che, secondo il Rapporto Marin, presentava una “lunghezza dalla radice della coda alla parte superiore della testa di 99 cm, una larghezza di spalle di 30 cm e un diametro della coda di 9,5 cm.”

Un’altra testimonianza giunge da un documento custodito nell’Archivio dipartimentale di Puy-de-Dôme. Si tratta di una lettera riguardante la bestia di Gévaudan scritta dall’Auvergne ad un nobile del luogo:

“Il signor di *** ha effettuato un esame. Afferma che a testa era mostruosa, di una forma quadrata, molto più grande e più lunga di quella di un lupo normale. Il muso è un po’ ottuso, le orecchie dritte e larghe alla base, gli occhi neri con delle membrane protruse e molto singolari. Erano come un prolungamento dei muscoli oculari inferiori. Queste membrane servivano a ricoprire a volontà le due orbite alzandosi e scivolando giù sotto le palpebre. L’apertura della gola è molto ampia, gli incisivi sembrano quelli di un cane, gli altri denti sono grandi e ineguali, il collo molto largo e corto con un pelo ruvido, estremamente lungo e folto con una striscia trasversale nera che scende sino alle spalle.”

Anche l’autore di questa lettera sottolinea il colore rossastro del pelo e la macchia bianca sul petto a forma di cuore.

Ma era davvero un lupo?

A giudicare dal comportamento estremamente aggressivo, alcuni esperti zoologi – primo fra tutti il canadese Ronald Lawrence – sospettano che la bestia di Gévaudan fosse un incrocio di lupo e cane. I pastori del Settecento si servivano di grossi cani da guardia che avevano il compito di proteggere le loro greggi dall’attacco dei lupi, ma non di rado i cani si accoppiavano con i lupi stessi. Ne derivavano degli ibridi dalla natura particolarmente aggressiva. Questo perché, portando in sé il patrimonio genetico del cane, tali ibridi non temono di avvicinarsi all’uomo e, al contempo, sono aggressivi e forti come lupi. Così Lawrence. Un’altra ipotesi, basata soprattutto sul colore del pelo, è che si trattasse di una iena. Ma la iena è un animale africano, non europeo. Inoltre la descrizione dettagliata della dentatura della bestia riportata nel Rapporto Marin, non corrisponde affatto alla dentatura di una iena.

Illustrazione d’epoca. Il cacciatore Francois Antoine presenta la bestia uccisa 
alla corte di re Luigi XV

Ultima ipotesi, più fantasiosa ma accattivante: e se la bestia fosse stata „controllata“ da qualcuno? Magari i fratelli Chastel erano davvero coinvolti in prima persona nella vicenda, come si mormorava in giro. Se i Chastel avessero allevato un animale particolarmente aggressivo – un ibrido di lupo e cane – che un giorno cominciò ad attaccare la gente e poi prese gusto alla carne umana? Chi ci dice che la pallottola d’argento di Chastel padre abbia compiuto davvero il miracolo di andare a colpire l’animale giusto e apparentemente introvabile senza che il cacciatore sapesse, sin dall’inizio, dove trovarlo? Per esempio… nascosto da qualche parte dai suoi figli? Sia come sia, Jean Chastel detto “la maschera” mise fine all’incubo e divenne un eroe.

E il mostro, almeno per l’opinione ufficiale del XVIII secolo, si rivelò essere un animale indefinito, ingordo di carne umana. A questo punto mi viene in mente la storia di un leone della Tanzania, del Parco Nazionale di Tsavo. Dal 2002 al 2004, il felino divorò almeno 35 persone. Un altro killer. L’esperto zoologo Rolf Baldus analizzò a suo tempo la carcassa del „mostro“ di Tsavo, nonché lo svolgersi dei fatti, e trovò la seguente spiegazione. Il leone soffriva di un forte mal di denti che gli rendeva la caccia particolarmente faticosa. Più comodo per lui era aggredire esseri umani, che non corrono veloci come gazzelle, e la cui carne è meno dura e più facile da masticare. Chissà, magari anche la bestia di Gévaudan aveva lo stesso problema. Il mal di denti.

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