Percezione selettiva: i pensieri che ci condizionano

Ludovica Scarpa

Amo l’attività fisica; a dir la verità più in teoria che in pratica, e la mia vita è piuttosto contemplativa. Quella che preferisco, a parte il ping-pong, e l’unica che coltivo è pensare, anzi fantasticare, leggere e scrivere, per cui non mi stupisce che la mia pressione sia da sempre molto ma molto bassa. Così giorni fa esco e mi dico ‘se trovo un aggeggino per misurare la pressione a casa che costi poco me lo prendo!’. E al supermercato trovo davvero l’ultimo aggeggino apposito, a prezzo stracciato. A me, che in effetti mi ritengo molto fortunata, cose simili accadono spesso. Come si spiega? E come mai ve lo racconto?

Ci sono due spiegazioni in circolazione, una ‘new age’ e una ‘scientifica’.

Secondo la prima esisterebbe una ‘legge universale dell’attrazione’, un’energia, con la quale, per risonanza, noi esseri umani attiriamo la nostra esperienza attraverso quel che pensiamo. Detto così sembra una cosa da maga Magò.

Tuttavia il meccanismo è semplice: se penso, ad esempio, che i miei colleghi in ufficio ce l’abbiano con me, come mi comporterò? Entrerò tranquilla e serena, salutando sorridente, oppure starò sul chi vive, guardandoli con sospetto o semplicemente preoccupata? Il mio modo di pormi e comunicare ’fa sistema’ con quello degli altri: ci diamo feedback continui, senza farci caso. I colleghi reagiranno al mio sembrare tesa e sulla difensiva, aggiungendo a loro volta svariate interpretazioni alla cosa: ‘ma guarda questa che fa fatica a salutare quando entra in ufficio..’ . Probabilmente, prima o poi, non sarò loro simpatica..

Quello che Paul Watzlawick (e altri) chiama la ‘profezia che si autoavvera’ è un fenomeno tipico di sistemi che si danno feedback continui, come sono quelli formati da esseri umani. L’effetto pigmalione ne è una variante, importante per chi fa l’insegnante: la sua aspettativa condiziona i suoi studenti.

Del resto già alla fine degli anni Venti il cosiddetto teorema di Thomas, un sociologo americano, enunciava: “Le situazioni definite reali dagli esseri umani, sono reali nelle loro conseguenze”. Se credo che i miei colleghi ce l’abbiano con me, questa credenza crea in me un disagio reale, che sento direttamente: sto male; e senza rendermene conto mi comporterò in modo da contribuire a realizzarla. Se credo che la pillolina (che invece non contiene alcun principio attivo) mi faccia bene, probabilmente sarà così: in tal caso lo chiamiamo l’effetto placebo.

In tutti questi casi ci accorgiamo del potere della mente di noi umani, nella nostra vita.

E la macchinetta per misurare la pressione? L’ho fatta arrivare con la forza del pensiero al supermercato, e proprio il giorno in cui ci avevo pensato? Non credo proprio.
Se non ci avessi pensato non l’avrei nemmeno vista. Ma la mia attenzione era focalizzata sul tema: se non ce ne fosse stata alcuna, non ci avrei fatto caso, forse avrei cercato altrove, forse non ci avrei pensato più, e il mio instancabile dialogo interno mi avrebbe intrattenuto con altri temi. Insomma: la mia attenzione non ha attratto la macchinetta, che c’era o non c’era per chissà che motivi, ma ha fatto in modo che io la vedessi. E che provassi una gran soddisfazione nel trovarla, la stessa che da ragazza sentivo trovando i funghi nel bosco.


La spiegazione scientifica: si tratta della ‘percezione selettiva’. Noi umani selezioniamo quel che ci arriva dal mondo: se fossimo senza filtri, inondati da tutto quel che c’è intorno a noi da vedere, sentire, ascoltare, annusare, avremmo alcune difficoltà. Per cui tralasciamo quel che non ci pare importante: vi ricordate il colore della carta da parati dell’anticamera del vostro dentista? Se non siete commercianti in carte da parati (o se non è particolarmente orrenda o bellissima) probabilente no: la percezione tralascia, mette da parte quel che non ci serve sapere. Ma ora che ve lo ho chiesto, chissà, magari la prossima volta ci farete caso!

E come mai ve lo racconto? Al di là delle spiegazioni da maghi Magò o da sociologhi, il fenomeno esiste: quel che pensiamo ha effetti sul nostro vissuto. Su che cosa focalizziamo la nostra attenzione? Sono fortunata perchè mi ritengo fortunata? Perché focalizzo la mia attenzione sugli accadimenti che me lo confermano, e tralascio gli altri? Definisco ‘un’eccezione’ quando le cose vanno come voglio io, o quando non lo fanno? Su quale sfondo di (miei) modi di vedere il mondo faccio risaltare (o no) quel che vedo? Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? E la vita?

Fonte: ilfattoquotidiano

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