La cosa incantevole di questa giovane scrittrice, blogger, terapeuta e insegnante, è che le domande che pone sono sempre di più delle risposte che dà.
Thérèse Hargot è una giovane sessuologa belga (nata nel 1984) con una laurea in filosofia e un master in scienze sociali alla Sorbona. Sposata, con tre figli, Thérèse ama sfidare la vulgata corrente.
È quanto espone in Une jeunesse sexuellement libérée (ou presque) [Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)], arrivato a vedere 15 mila copie.
Fondamentalmente, confessa a «Le Figaro», è cambiato soltanto il nostro modo di relazionarsi alle cose del sesso:«Se la norma è cambiata, il nostro rapporto con la norma è lo stesso: restiamo all’interno di un rapporto di dovere. Siamo semplicemente passati dal dovere di procreare a quello di godere. Dal «non bisogna avere relazioni sessuali prima del matrimonio» al «bisogna avere relazioni sessuali il prima possibile». Una volta la norma era dettata da un’istituzione, principalmente religiosa, oggi è dettata dall’industria pornografica. La pornografia è il nuovo vettore normativo nel campo della vita sessuale».
La differenza è che la norma ora è stata interiorizzata, individualizzata. «Mentre un tempo le norme erano esteriori e esplicite, oggi sono interiorizzate e implicite. Non abbiamo più bisogno di una istituzione che ci dica quello che dobbiamo fare, l’abbiamo assimilato da soli. Non ci viene più detto esplicitamente quand’è che dobbiamo avere un figlio, ma tutte abbiamo compreso molto bene il «momento buono» per essere madri: soprattutto non troppo presto, e quando le condizioni finanziarie sono favorevoli. È quasi peggio: siccome ci crediamo liberati, non abbiamo più coscienza d’essere sottomessi a delle norme».
Ma quali sono le coordinate psicologiche disposte dalla nuova normatività sessuale?
Questa nuova normatività nelle cose del sesso tocca tanto gli uomini quanto le donne, ma in maniera differente.
La norma si trasmette sotto forma di discorso igienista, andato a sostituire la vecchia morale di un tempo. Si fomenta così una psicologia individuale straziata, oppressa dalla simultanea presenza del piacere e della paura. Il sesso è piacere, ma è anche un sesso pericoloso, che infetta e uccide, attenta alla vita fisica: «L’AIDS, le malattie veneree, le gravidanze indesiderate: siamo cresciuti, noi nipoti della rivoluzione sessuale, con l’idea che la sessualità fosse un pericolo. Ci dicono che siamo liberi e nello stesso tempo che siamo in pericolo. Ci parlano di «sesso sicuro» e di preservativo, abbiamo sostituito la morale con l’igiene. Cultura del rischio e illusione della libertà, questo è il cocktail liberale che ormai si è imposto anche nel campo della sessualità. Questo discorso igienista è molto ansiogeno. E inefficace: si trasmettono sempre numerose malattie veneree».
Come sessuologa, Thérèse lavora a stretto contatto con gli studenti liceali, in un’età della vita particolarmente esposta all’immaginario diffuso dall’industria pornografica. Negli adolescenti, osserva, «la cosa più significativa è l’influenza della pornografia sul loro modo di concepire la sessualità. Con lo sviluppo delle tecnologie e di internet, la pornografia viene resa estremamente accessibile e individualizzata. A partire dalla più giovane età, condiziona la loro curiosità sessuale: a 13 anni ci sono ragazzine che mi domandano cosa ne penso delle cose a tre. Più in generale, al di là dei siti pornografici, possiamo parlare di una «cultura porno» presente nei videoclip, nei reality, nella musica, nella pubblicità, ecc.».
Sulla psiche dei più piccoli poi l’impatto della pornografia è devastante: «Come può un fanciullo», si chiede la sessuologa belga, «accogliere queste immagini?». A questa età si è davvero «in grado di distinguere tra la realtà e le immagini?».
La sedicente «liberazione sessuale», si legge nel suo libro, sembra non ridursi ad altro che a questo: «Essere sessualmente liberi, nel ventunesimo secolo, vuol dire avere il diritto di fare del sesso orale a 14 anni».
Siamo in diritto di chiederci se una simile «liberazione» non si sia in realtà ritorta contro la donna. La Hargot ne è fermamente convinta: «La promessa «il mio corpo mi appartiene» si è trasformata in «il mio corpo è disponibile»: disponibile per la pulsione sessuale maschile, che non è ostacolata in nulla.
Thérèse Hargot è fortemente critica anche della «morale del consenso», per la quale ogni atto sessuale va considerato un atto libero nella misura in cui è «voluto».
Andando controcorrente, la giovane sessuologa arriva ad esaltare i metodi naturali, biasima il discorso femminista e la medicalizzazione del sesso indotta dalla pillola. Quest’ultima viene elevata a «emblema del femminismo, un emblema della causa delle donne». Ma della bontà di un simile feticcio, afferma tranchant, «c’è da dubitare, visti gli effetti sulla salute delle donne e sulla loro sessualità! Sono le donne che vanno a modificare il proprio corpo, e mai l’uomo. È una cosa completamente iniqua. È in questa prospettiva che mi interessano i metodi naturali, perché sono i soli a coinvolgere equamente l’uomo e la donna. Sono basati sulla conoscenza che le donne hanno del loro corpo, sulla fiducia che l’uomo deve avere nella donna, sul rispetto del ritmo e della realtà femminili. Lo trovo in effetti molto più femminista che non distribuire un medicinale a donne in perfetta salute! Facendo della contraccezione una faccenda unicamente femminile, abbiamo deresponsabilizzato l’uomo».
Non fa eccezione a questo quadro la pratica dell’utero in affitto, «perché sopprimere la madre sarebbe l’ultima tappa del dominio maschile», osserva la sessuologa-filosofa. Con la Gpa «un uomo può creare la vita senza una donna. Certo, ha ancora bisogno del «corpo femminile», ma non si tratta più di una donna, cioè di una persona umana che per principio non può essere utilizzata come un mezzo, quali che siano il fine e le modalità. Dopo il sesso con la prostituzione, le ovaie con la riproduzione artificiale, l’utero è l’ultimo bastione conquistato dalla volontà di disporre del corpo delle donne. La sottomissione delle donne a scopi commerciali o caritatevoli tocca il suo apogeo. Da madre diventa operaia, da donna diventa serva che risponde ai comandi e alle esigenze di coloro a cui appartiene il progetto di paternità».
Si tratta di un ritorno puro e semplice alla sottomissione precedente alle conquiste del femminismo?
Sulla questione dell’omosessualità, che oggi tormenta alquanto gli adolescenti, Thérèse ricorda quanto sia riduttivo identificare la persona con un orientamento sessuale: «“Essere omosessuale” è anzitutto una battaglia politica. In nome della difesa dei diritti sono state riunite sotto una stessa bandiera arcobaleno delle realtà diverse che non hanno niente a che vedere le une con le altre.
Che fare dunque con i giovani? Bisogna aiutarli a svilupparsi sessualmente, magari coi soliti corsi di educazione sessuale?
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